Sono andato per la prima volta alla Fondazione qualche mese fa, accompagnato da Sergio Ferrajolo, che ne è frequentatore assiduo. Arrivando dalla Tangenziale si scorge subito in fondo a via Colonnello Pepe: la costruzione sorge isolata e diversa dalle case intorno, una specie di torre di controllo fortificata. E infatti una volta era la “villa di Bambù”, la sede da cui il boss controllava il “suo” territorio. Colpisce quella sala vetrata in alto, che svolgeva questo compito operativo e di controllo, tutta in profili d’acciaio e vetri blindati. Superato l’ingresso, necessariamente controllato, colpiscono le pacchiane ringhiere in ferro battuto, le scale in costosi graniti (serizzo antigorio e juparana indiano): naturalmente il cambio di destinazione d’uso è stato particolarmente difficoltoso e non poteva permettersi di eliminare tutti gli eccessi della precedente gestione; anche internamente si intuisce la difficoltà di adattare gli spazi e adeguare i servizi. Eppure l’operazione è riuscita ed è sempre in evoluzione: ogni angolo dell’edificio è pieno di attività, la Fondazione è il naturale completamento dell’attività scolastica e supplisce alle deficienze familiari e pubbliche. Qua bambini e ragazzi vengono assistiti nello studio, nei giochi, nelle attività finalizzate alla formazione professionale.
Don Luigi è aiutato da volontari e da un ristretto numero di educatori inquadrati nella Fondazione. La base di tutto questo (la “mission”, come si usa dire, e in questo caso sarebbe la parola giusta) è la volontà di sottrarre i giovani alle insidie di un ambiente familiare e urbano degradato e soprattutto alle trappole della camorra.
Da questo punto di vista la Fondazione è un fortilizio della legalità, anche le mamme meno accorte sanno che portano i figli in un luogo protetto. L’atmosfera è serena, i bambini ci stanno volentieri; quando arriviamo per dare una mano al doposcuola mi colpisce l’accoglienza: ti corrono incontro “ciao, mi aiuti?” e si sporgono per darti un bacio.
Apprezzo molto questo posto che non è classificabile come un “oratorio”, non è pieno di immagini sacre e non si recitano rosari, è (e non potrebbe non esserlo) essenzialmente laico. Dice: “I preti non dovrebbero essere solo in sacrestia”, e infatti Luigi è stato da sempre minacciato e “consigliato” di fare esclusivamente il prete, e non solo dalle famiglie camorristiche. L’attivismo di don Luigi contrasta ed erode il potere della camorra, per questo è nel mirino dei boss. Prosegue tra mille difficoltà la sua opera tenendo a mente le parole di Borsellino “chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola” e aggiunge: “io morirò quando sarà arrivato il mio momento, nel frattempo ho deciso di avere coraggio, quel coraggio che libera”.
Mercoledì lo abbiamo trovato alle prese con la TARI: la Fondazione per decreto dovrebbe beneficiare di sgravi notevoli, ma il Comune in difficoltà non sempre mette in bilancio queste spese… è solo uno dei tanti ostacoli quotidiani; la giornata di don Luigi è spesa quasi interamente nella ricerca di risorse per la Fondazione, soprattutto risorse umane, appoggio e aiuto. Cerchiamo di dargliene.
Franco Grillo
