Il secondo articolo scritto nell’ambito del progetto Educazione allo sviluppo sostenibile della Caritas Caserta in collaborazione con l’Università Vanvitelli.
È entrato nel linguaggio quotidiano. Ogni dibattito in ogni sede è intriso di tale termine: sviluppo sostenibile. Esso implica, secondo quella che mi sembra la più esplicativa definizione tra le innumerevoli disponibili, “la capacità della nostra specie di riuscire a vivere in maniera dignitosa ed equa per tutti senza distruggere i sistemi naturali da cui traiamo le risorse e senza oltrepassare le loro capacità di assorbire gli scarti e i rifiuti dovuti alle nostre attività produttive”.
Più dettagliatamente, per conseguire uno sviluppo delle società umane che sia sostenibile è necessario che:
• L’intervento umano sia circoscritto entro la capacità di carico dei sistemi naturali conservando la loro vitalità e la loro resilienza;
• Il progresso tecnologico per la produzione di beni e servizi venga indirizzato all’incremento dell’efficienza piuttosto che all’incremento dell’utilizzo di energia e materie prime;
• I livelli di prelievo delle risorse non rinnovabili non deve eccedere la loro capacità rigenerative;
• L’emissione di scarti e di rifiuti (solidi, liquidi e gassosi) dovuti al metabolismo dei sistemi sociali non deve eccedere la capacità di assimilazione dei sistemi naturali.
A ben guardare e riflettere, lo “sviluppo sostenibile” implica una completa rivoluzione nel concetto di “sviluppo” come finora è stato inteso: crescita a tutti i costi, fatturato, PIL, remunerazione dei fattori produttivi, ricchezza.
Abbiamo dato uno sguardo secondario e limitato, salvifico delle nostre coscienze, alla crisi climatica, alla necessità di salvaguardare la sicurezza ambientale, all’esigenza di pensare a come re-distribuire le risorse, all’urgenza di contenere e governare migrazioni e trasformazioni.
I modelli di sviluppo che abbiamo ideato negli ultimi settant’anni non sono più (ammesso che lo siano mai stati) “sostenibili” a garantire “lo sviluppo”.
Non solo per una questione di crisi climatica, ma perché creano disequilibri e diseguaglianze che minano nel profondo la sopravvivenza stessa dei sistemi sociali e con forti negative ripercussioni sulle future generazioni.
In tale contesto è necessario rivedere, in primo luogo, gli assunti del capitalismo.
Esso è votato ad una crescita incessante fondata sul desiderio delle persone a godere beni e risorse illimitati come se il pianeta potesse sostenere tale crescita senza limiti.La rivoluzione industriale del XIX secolo ha progressivamente trasformato i cittadini in consumatori creando nel contempo forti sperequazioni economiche e sociali sia a livello locale che globale e gravissimi danni agli ecosistemi del pianeta.
Ma un processo di transizione verso un sistema economico più equo e rispettoso dell’ambiente si è già avviato.
Lo testimonia il numero crescente di imprese attente alle problematiche ambientali, il graduale affermarsi nelle persone di un consumo più responsabile e attento, l’attenzione anche del complicato e altamente speculativo mondo della finanza ad investire e sostenere quelle aziende più votate alla cosiddetta “green economy”.
Va sottolineato però che il percorso va rafforzato perché si tratta di attuare un cambiamento radicale nella coscienza sociale, di una trasformazione collettiva ed universale.
La retorica dei piccoli sforzi individuali non basta più: usare la bicicletta invece dell’auto, riciclare le bottiglie di plastica, acquistare prodotti col packaging ecologico, spegnere le luci quando si esce da una stanza, non sprecare cibo è senza dubbio lodevole e rilevante ma è necessario che gli sforzi individuali convergano e si alimentino in movimento globale che includa anche tutti i livelli di responsabilità e governo.
È necessario che il grado di corruttibilità e la rincorsa al prioritario soddisfacimento degli interessi personali dei pubblici amministratori si azzeri a favore di un effettivo e concreto senso di responsabilità per una giusta e reale gestione del bene comune finalizzata al benessere e allo sviluppo della collettività amministrata.
Rammentando parte delle recenti parole di Papa Francesco “Su questa barca ci siamo tutti. E ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo. Ma solo insieme. Nessuno si salva da solo”.
Sergio Ferrajolo
