Al G20 di Roma del 30/31 ottobre, il negoziato per il taglio delle emissioni di gas serra è apparso subito in salita.
Cina, Russia e India frenano la mediazione anglo-italiana, che porta da 100 a 150 miliardi i fondi per i Paesi più fragili per affrontare nei prossimi anni la transizione ecologica.
Tutto si basa sull’accordo di Parigi del 2015, per tenere sotto controllo l’aumento delle temperature globali, memori che da allora ad oggi nessun passo in avanti è stato compiuto. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel saluto d’apertura al G20, ha esordito affermando: “Il mondo ci guarda, è il momento della svolta”. E ai giovani: “Non possiamo evadere la nostra responsabilità di fornire risposte. Lo dobbiamo alle aspirazioni ad un mondo più giusto e migliore; lo dobbiamo di più alle nuove generazioni, alle quali va assicurato un futuro più sereno e vivibile.
Il summit, presieduto dal Capo del Governo Italiano Mario Draghi, abile tessitore, aveva due compiti fondamentali: portare tutti i “Grandi” su una linea comune contro il surriscaldamento e quindi porre le basi affinchè il vertice successivo di Cop26, iniziato l’1/11/21 a Glasgow, possa compiere un altro passo in avanti. E questi due propositi alla fine sono stati conseguiti, ma mancano alcune delle aspettative concrete che molti Capi di Stato e di Governo avevano alimentato in precedenza.
Tutto il fronte ambientalista è critico, ad iniziare da Greta Thunberg, che a Glasgow attacca i Grandi della Terra: “Hanno evitato ogni azione reale contro il cambio del clima” (il riferimento è al G20 di Roma). Il premier britannico Johnson non è pago, così come il segretario generale dell’Onu Guterres, ma pur manifestando la loro insoddisfazione, dichiarano che le speranze non sono tuttavia sepolte.
Per Draghi, non è stato facile presiedere il G20, ma ciò nonostante parla di successo. Ovviamente, quando il nostro Presidente del Consiglio parla di successo pensa ad altro. Egli ritiene che si tratti di una “vittoria” del multilateralismo.
Aver tenuto insieme Cina e Stati Uniti a dialogare, nonostante tutto: il Ministro degli Esteri cinese, a Roma in rappresentanza del Presidente Xi, che interviene solo in video, ha avvertito “a non interferire negli affari di Taiwan, altrimenti il prezzo da pagare sarà molto salato”. L’avvertimento è diretto al presidente Biden e ai Paesi suoi alleati.Aver coinvolto anche India e Russia costituisce un’altra vittoria del multilateralismo.
Aver allineato questi colossi agli impegni dell’Occidente è un successo per Draghi, nel senso che manteniamo vivi i nostri sogni. E così conclude: ora la nostra credibilità dipende dalle nostre azioni; non è importante quello che si dice, ma quello che si fa.
Alle necessità imposte dalla doppia crisi, sanitaria ed ecologica, si aggiunge un problema politico, direi morale: evitare che i due passaggi al nuovo mondo digitale ed ambientale – e quindi alla modernità – diventi un privilegio per i paesi più ricchi e un discrimine per gli altri. Lasciare che i più poveri non dispongano di vaccini sufficienti per potersi difendere dalla pandemia è ancora più grave.
Il progresso ha un senso solo se lo è per tutti, altrimenti non lo è per nessuno.
L’obiettivo fondamentale da conseguire è quello di limitare a 1,5 gradi centigradi il surriscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali, unitamente a quello di azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050. Altrimenti, come prima conseguenza, con lo scioglimento ulteriore dei ghiacciai, le città costiere finiranno tutte sott’acqua.
Le assenze al G20 del russo Putin e del cinese Xi stanno a dimostrare che dopo la sconfitta di Trump, esistono ancora leader che si ritengono più leader degli altri in virtù degli arsenali militari di cui dispongono.
Che si tratti di affrontare la pandemia o di rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici, i governi sono obbligati a lavorare insieme, senza subire ordini dall’alto.
A me indigna l’arroganza dei “Grandi” per la loro presenza solo virtuale, al pari mi indigna la ipocrita presenza reale di un personaggio politico di spicco al G20, perché la ritengo legata più a interessi privati che alla Conferenza mondiale sul clima. E mi sia consentito manifestare la mia profonda sofferenza per la grave situazione in cui versa la foresta amazzonica, polmone del pianeta, destinata a morire, con i poveri indios che la abitano. Arbitrariamente considerata proprietà del proprio Stato, quando invece trattasi di patrimonio mondiale dell’umanità, di valore inestimabile.
Le foreste vanno salvate e tutelate, e in primo luogo quella amazzonica.
I leader mondiali, riuniti alla Cop26 di Glasgow si sono impegnati a fermare la deforestazione, ma solo dal 2030. Troppo tardi, hanno giustamente obiettato i giovani, che si preoccupano del loro futuro a rischio di sopravvivenza. Al 2030 mancano nove anni e in un arco di tempo così lungo potrebbero essere provocati all’ambiente danni irreparabili.
L’appello di papa Francesco sul clima, ai Grandi della Terra, è categorico e allarmante: “ Non c’è più tempo per aspettare”.
Non si può non essere d’accordo col nostro Pontefice, sempre vigile e attento anche ai problemi climatici e ambientali. Assolutamente, non c’è più tempo da perdere, se vogliamo salvare “in extremis” il nostro pianeta e noi stessi.
L’estate del 2021 è stata la più calda in Europa. Ma i disastri legati al clima, che stanno diventando sempre più estremi, colpiscono ogni regione del mondo.
Dopo l’appello ad azioni immediate contro il riscaldamento globale, davanti ad un possibile fallimento della Cop26, manifestanti di “Friday for Future” sfilano a Glasgow e in altre 200 città della Terra, chiedendo impegni certi e concreti a chi detiene nelle proprie mani le sorti del pianeta.
Gino Tino