Con il nostro club il 19 gennaio 2019 assisteremo alla Bohème, una delle più famose opere liriche di Puccini. Colgo l’occasione di questo evento e dell’anniversario della morte avvenuta a Bruxelles il 29 novembre 1924 per parlare della sua vita e delle sue composizioni per conoscerne anche qualche aspetto meno noto.
Giacomo, o meglio Giacomino come familiarmente veniva chiamato da tutti, nacque a Lucca il 22 dicembre 1858 da una famiglia di musicisti da ben 4 generazioni. I suoi avi si tramandavano di padre in figlio l’incarico di 1° organista del Duomo e direttore della Cappella palatina fino al padre Michele che morì quando Giacomo aveva 6 anni, perciò fu nominato in sua vece lo zio Fortunato Magi, ma solo finché il vero titolare non fosse diventato organista. Il nostro, però, non aveva alcuna intenzione di studiare la musica né altre materie; pensava solo a girovagare per la campagna e la sua unica passione era la caccia. Per questi motivi la madre Albina Magi era disperata e, dopo avergli fatto frequentare inutilmente il seminario, nella speranza di recuperarlo lo mandò a studiare musica dal maestro Carlo Angeloni di Lucca. Questa fu la svolta della sua vita perché si appassionò talmente allo studio da diventare un bravo organista ottenendo l’incarico di suonare in 3 chiese della città. Ma ciò che lo fece veramente cambiare del tutto indicandogli il suo destino fu l’Aida di Verdi. Pensate che per vederla, poiché era sempre squattrinato, con alcuni amici andò a piedi fino a Pisa dove l’opera si rappresentava. La musica di Verdi lo colpì nel profondo dell’animo e finalmente capì che la sua strada era quella di diventare musicista. Ma ci volevano molti soldi perché bisognava andare a Milano da Ricordi, il grande impresario, e dove poteva frequentare altri artisti come lui per farsi conoscere e apprezzare. La madre Albina, consapevole delle qualità del figlio, si attivò facendosi prestare dei soldi da uno zio agiato, e poi scrisse addirittura alla regina Margherita che elargì a Giacomo cento lire al mese per un anno. A Milano frequentò il conservatorio dove tra gli altri ebbe come maestro Amilcare Ponchielli, autore della Gioconda, e come compagni Mascagni e Leoncavallo. Alla fine del corso presentò una composizione dal titolo “Capriccio sinfonico” che ottenne il plauso dei suoi professori e che fu eseguita in pubblico suscitando recensioni lusinghiere. Il famoso e severo critico Filippo Filippi scrisse: “Puccini è un rarissimo temperamento musicale, specialmente sinfonista. Fu apprezzato anche da G. Verdi. Il primo vero successo fu però “Le Villi” data al Teatro Dal Verme il 31 maggio 1884: fu ripetuto 3 volte il finale e ci furono 18 chiamate in scena (così telegrafò alla madre). Giacomo era felice anche perché Ricordi gli commissionò una nuova opera, l’Edgar, e per dargli serenità gli pagava uno stipendio da sottrarre dai futuri guadagni. Ma la malattia e la morte della madre, avvenuta il 17 luglio 1884 a 54 anni, gli sconvolsero la vita: smise di comporre e decise di non tornare a Milano. Passava il tempo girovagando per la città e spesso si rifugiava a casa di un amico commerciante amante della lirica, sposato con Elvira Bonturi e padre di 2 bambini. Elvira non era proprio una bellezza, ma aveva forme procaci che attiravano gli sguardi maschili e anche quelli di Giacomo. Col tempo l’amicizia si trasformò in passione che fu vissuta di nascosto, tra paure e continue bugie, ma quando nella primavera del 1886 Elvira rimase incinta, con molto coraggio, considerati i tempi, lasciò il marito e con la figlia raggiunse Giacomo a Milano. Scoppiò uno scandalo enorme e i due concubini furono emarginati perfino dalla famiglia, tanto che lo zio che aveva dato i soldi per far studiare Giacomo ne volle la restituzione. La situazione diventò sempre più critica anche per le ristrettezze economiche e culminò con l’insuccesso di Edgar nel 1889, protraendosi fino alla prima di Manon Lescaut (1/2/1893), un vero trionfo che gli permise di pagare i debiti e di cominciare a vivere, come egli stesso disse. Con i soldi guadagnati, 40mila lire, si fece costruire anche la villa di Torre del Lago, il piccolo borgo di 50 abitanti, dove aveva comprato una baracca e amava mescolarsi ai contadini e pescatori, usando un linguaggio sconveniente e blasfemo, vantandosi delle sue conquiste femminili e partecipando a gare di bestemmie. Questo era il periodo in cui lavorava alla Bohème, la sua opera più romantica, e in cui era innamorato di una donna che poteva liberamente visitare di notte perché il marito era assente per lavoro. Per poter agire senza insospettire la gelosissima Elvira ecco cosa escogitò. Per circa un mese fece andare di notte a casa sua l’amico Gingino che mentre lui s’intratteneva con l’amata fingeva di comporre, suonando qualche nota di Bohème ogni tanto. Ma l’inganno finì quando una notte Elvira si accorse che le note erano sempre le stesse; trovò Gingino al piano e lo picchiò, poi quando arrivò Giacomo prese a bastonate anche lui. Puccini trascorreva la sua vita a Torre del Lago, perdendo tutti i contatti preziosi a Milano, alienandosi molte simpatie, tanto che Bohème, Madama Butterfly e Tosca, rappresentate rispettivamente a Torino, alla Scala e a Roma, furono clamorosi insuccessi. Il maestro decise allora di rappresentare le sue opere all’estero. Così il 10 dicembre 1910 diede la Fanciulla del West al Metropolitan di NY con Caruso diretto da Toscanini. Ottenne un successo clamoroso come con La Rondine a Montecarlo e nel 1918 il Trittico al Metropolitan. Ormai Puccini era famosissimo, guadagnava tanto da potersi permettere una vita lussuosa e gaudente, circondandosi sempre di belle donne, dimenticando la gelosia di Elvira con la quale si scusava dicendo che le sue “scappatelle” erano “solo uno sport”. Una volta però si innamorò seriamente di una giovane studentessa di nome Corinna ed era fermamente deciso a rompere con Elvira, ma tutti gli si rivoltarono contro, anche Ricordi, e poiché in quel periodo dovette affrontare una lunga convalescenza a casa per i postumi di un incidente automobilistico, la crisi con la moglie si ricompose. La gelosia di Elvira, che nel 1904 dopo la morte del marito era diventata sua moglie, non si era placata. Vedeva amanti dappertutto e cominciò a sospettare anche della giovane cameriera Dorina che accusava di cose inesistenti; arrivò a dire che l’aveva trovata a letto con il marito e la licenziò. Ma continuò a perseguitarla rivolgendole parole ingiuriose quando la incontrava, tanto che la giovane per disperazione si avvelenò. I parenti però credevano alla sua innocenza e con una perizia medica provarono la sua illibatezza. Scoppiò un grande scandalo e la vicenda finì su tutti i giornali. Elvira fu processata per diffamazione e condannata a 5 mesi di prigione e a pagare un’ammenda. Puccini preferì mettere subito la parola fine alla vicenda pagando 12mila lire alla famiglia della giovane. Questa tragedia colpì profondamente il maestro, tanto che pensò anche al suicidio, ma superato il colpo riprese la vita gaudente ed a collezionare amanti. L’ultima fu la baronessa Josephine Von Stangel che frequentò fino al 1918; dal 1920 forse per l’età cominciò a condurre una vita più tranquilla trascorrendo nella villa di Viareggio ore serene con Elvira, che malgrado i contrasti non ebbe mai il coraggio di lasciare. A lei ora faceva ascoltare le sue composizioni, le dolci melodie di Turandot. Quest’opera sappiamo che rimase incompiuta nelle ultime due scene perché il maestro morì per un tumore alla gola il 29 novembre 1924 a Bruxelles dove si era recato col figlio Tonio per essere operato. Prima di morire scrisse su un foglio “Elvira povera donna” dimostrando che in fondo era lei l’unica che avesse veramente amato e l’unica che l’avesse amato restandogli sempre accanto. Appena pochi mesi prima, nel mese di maggio, era stato nominato Senatore del Regno. Puccini ebbe un unico figlio, Tonio, che non fu un musicista come i suoi avi e che ebbe solo una figlia nata fuori dal matrimonio. Simonetta, laureata in lettere, ha dedicato tutta la sua esistenza a mantenere viva la memoria del nonno fondando l’Istituto di studi pucciniani, di cui è stata presidente fino alla morte. Non Ha lasciato eredi.
Tutta la famiglia Puccini è sepolta nella cappella di Torre del Lago.
Alcune notizie sul Maestro sono prese da “Puccini” di R. Allegri
Mena Merola Vitale