Dopo una difficile campagna elettorale, a fine anno 2022, Lula da Silva ha battuto il conservatore Bolsonaro nella corsa presidenziale più agguerrita nella storia del Brasile, consolidando lo schieramento a sinistra dell’America Latina.
Vittoria di grande importanza, quella di Lula, che dovrà ricostruire la democrazia brasiliana, affrontare la crisi economica e unire un Paese diviso.
Il nuovo governo, insediatosi il primo gennaio 2023, sta già dando prova del suo impegno determinato e risoluto sull’Amazzonia, immensa regione dell’America meridionale solcata dal Rio delle Amazzoni, paradiso della biodiversità, sempre più a rischio, sia per il progredire dei cambiamenti climatici che per l’azione diretta dell’uomo.
Negli ultimi tempi, aree sempre più vaste di questa estesissima foresta equatoriale sono state disboscate per far spazio agli allevamenti intensivi di bovini, mentre frequenti incendi dolosi ne hanno modificato l’habitat, mettendo a rischio la stessa sopravvivenza delle popolazioni indigene – costituite in prevalenza da “indios” – che da secoli vivono in perfetta simbiosi con la natura.
La voce più autorevole degli ultimi anni, che si è levata contro la politica demolitrice di questa vasta foresta pluviale, che mira a cancellare un ecosistema in cui non solo sono importanti gli “elementi” che lo compongono, ma anche e soprattutto i “rapporti” che li legano, è stata quella di papa Francesco, che nella enciclica “Laudato si” ha rinnovato un accorato appello al dialogo e alla cooperazione tra i popoli, mettendo a tacere ogni forma di competizione.
Fermo restando l’opportunità di richiamare l’attenzione su di una tematica complessa e delicata, qual è quella ambientale, perché ciascuno di noi possa riflettere responsabilmente sul problematico futuro del pianeta, il motivo che mi ha indotto a ritornare su un argomento già trattato, è stato un evento eccezionale, unico, nella storia brasiliana: la nomina di una donna “indios” a Ministra dei Popoli Indigeni, la prima al mondo a ricoprire questo incarico. A seguito di tale provvedimento, le politiche ambientaliste segneranno certamente una svolta, con lo stop alla deforestazione della foresta amazzonica.
La nuova ministra, Sonia Guajajara, 50 anni appena compiuti, col suo variopinto copricapo di piume, la incontriamo per la prima volta nel marzo scorso nella sede dell’Ambasciata del Brasile in Italia. Successivamente sarà ricevuta in Vaticano.
Nella sua terra d’origine, l’Arariboia, nel Maranhao, Stato atlantico del Brasile nord-orientale, che comprende tratti di densa Foresta Amazzonica, Sonia fin dall’infanzia è consapevole di essere circondata da povertà e ingiustizia. Nell’adolescenza va a studiare in un collegio agricolo, dove comprende che l’educazione è il primo passo per rivendicare i suoi diritti di donna indigena.
Poi scopre il socialismo e il femminismo, così decide di diventare un’attivista, riuscendo ben presto ad imporsi alla guida dell’Associazione dei Popoli Indigeni. La lotta contro il massacro della popolazione indigena e contro il neoliberismo diventano lo scopo della sua vita.
Svolgendo il suo intervento a Roma, Sonia spiega: ”Ho passato tutta la vita a combattere contro l’invisibilità delle popolazioni indigene, ma con il ritorno del Brasile alla democrazia, grazie al presidente Lula, oggi nutriamo più speranze. Adesso i nostri popoli sono al centro del dibattito politico”.
Una grande novità e una grande speranza la sua nomina a Ministra, che segnerà sicuramente un cambiamento repentino e decisivo per l’Amazzonia, polmone verde del pianeta, e per il suo popolo indigeno. E, conseguentemente, per l’intera umanità.
Gino Tino